Pietà mariana nel Carmelo scalzo del secolo XVIII

di padre Renato Dall’Acqua

Il profondo legame del Carmelo scalzo con la Vergine Maria ha le sue origini nella tradizione ereditata dal Carmelo primitivo e trasmessa con amore dai fondatori, Teresa di Gesù e Giovanni della Croce, e ben attestata anche nelle biografi e di Scalzi e Scalze di quelle prime generazioni; la presenza di Maria nella vita del Carmelo scalzo italiano è ben documentata anche nella titolazione delle chiese: Santa Maria della Scala, Santa Maria delle Vittorie, a Roma, Assunta, Santa Maria dei Rimedi, a Palermo, quest’ultima, mantenuta nonostante l’ipotesi che si faceva strada di legare il nuovo tempio, completato nel 1625, alla fi gura della Santa di Avila, canonizzata nel 1622.

MADONNA DEI RIMEDI

Descritta come rilievo marmoreo nelle guide di Palermo del sec. XVIII, della antica immagine mariana della chiesa dei Rimedi avevamo ormai persa la memoria. È stato durante una visita al Museo Diocesano di Monreale che la nostra attenzione è stata attirata da una stampa (cm 30 x 20) con la raffigurazione di due carmelitani, sant’Elia profeta e santa Teresa d’Avila, ai lati di una Pietà, la Vergine che regge tra le braccia il corpo esanime del figlio. La sorpresa è stata constatare che quella Pietà raffigurava l’antica immagine della Madonna dei Rimedi, come spiegava l’iscrizione sulla stampa, opera di Bernardo Bongiovanni, (sec. XVIII). Ai piedi della Madonna, inginocchiati in atto di devozione, sono raffigurati re Ruggero I e il viceré Duca d’Ossuna; sullo sfondo è riconoscibile la città di Palermo. Chiaramente visibile, all’esterno della cinta muraria, in alto a sinistra, è il complesso della chiesa di Santa Maria dei Rimedi con l’annesso convento dei Carmelitani scalzi. Riferisce a riguardo Mongitore (sec. XVIII) che la chiesa fu edificata dal gran conte Ruggero dopo l’entrata vittoriosa a Palermo, in ricordo di un’epidemia diffusasi durante l’assedio della città e risoltasi miracolosamente per intercessione della Madonna. La chiesetta, in origine titolata “Rimedio di Santa Maria”, diventò per il popolo “Madonna dei Rimedi”. Nel 1610 nei pressi dell’antica chiesa normanna fu edificata dai Carmelitani Scalzi l’attuale chiesa che porta il medesimo titolo. Il Viceré, duca d’Ossuna appunto, intimò ai frati di abbandonare il convento per il quale era prevista la demolizione insieme alla chiesa, per motivi di sicurezza. Si narra che la Madonna, invocata dai frati, apparve in sogno al Viceré riferendogli queste parole: «Ancora, o Viceré, oserai cacciare via i miei fi gli da quel luogo già sotto la mia protezione? Forse io non valgo assai di più da poter difendere il tuo palazzo e la città da qualunque attacco dei nemici?». Ne seguì la revoca dell’ordinanza e l’appoggio incondizionato a quell’opera. Dopo l’Unità d’Italia, con la soppressione degli Ordini religiosi e la confisca dei beni ecclesiastici (1866) il Santuario fu chiuso e l’arredo liturgico, compreso il rilievo della Madonna, disperso. L’attuale immagine della Madonna dei Rimedi è una pregevole opera marmorea di scuola del Gagini, del XVI sec. La statua della Vergine fu donata al santuario dall’arcivescovo di Palermo Mons. Ernesto Ruffi ni, nel 1950, e fu incoronata con grande solennità il 16 luglio 1951; il 16 maggio 1953 egli dichiarò la chiesa “Santuario Mariano diocesano”. Presso l’altare di questa Madonna, per suo espresso desiderio, il cardinale volle essere sepolto.

SALUS POPULI ROMANI

L’antica e venerata immagine della Madonna Salus Populi Romani va annoverata tra le immagini legate alla devozione mariana al Carmelo e con un particolare rapporto con il convento dei Rimedi.

Tra i carmelitani vissuti in questo convento va ricordato infatti padre Prospero dello Spirito Santo. Salpato da Palermo per la Terra Santa nel 1630, egli riuscì ad ottenere dall’emiro Turabay il permesso di fondare un convento sul Monte Carmelo. Quale rappresentante dei Carmelitani scalzi, venne concessa a padre Prospero la piccola grotta della Madonna, situata alla base della montagna, presso il mare. Lo stesso giorno della firma dell’accordo, 29 novembre 1631, il religioso vi celebrò la prima messa. Il 17 febbraio del 1633, di ritorno da Roma, padre Prospero celebrò per la seconda volta nella grotta della Madonna. In essa aveva eretto un altare sul quale aveva posto un quadro della Vergine donatogli dal cardinale Francesco Barberini, copia di un immagine conservata a santa Maria Maggiore a Roma, detta Salus Populi Romani, dalla tradizione attribuita a san Luca.

MADONNA DEL CAPO CHINO

Venerata nella chiesa dei Carmelitani scalzi di Vienna, il dipinto della fi ne del XVI sec, ed è legato alle vicende di un illustre carmelitano , il ven.. Domenico di Gesù Maria, fondatore della chiesa e del convento dei Rimedi. Secondo una quanto si narra nelle biografie del venerabile, l’immagine sarebbe stata ritrovata sotto le macerie di alcune case nei pressi del convento carmelitano di santa Maria della Scala a Roma, o forse tra gli ex voto della stessa chiesa. Il quadretto, rinvenuto da padre Domenico di Gesù Maria, all’epoca Priore del convento romano, fu preso in custodia dal religioso che la portò nella sua cella. Un giorno, pregando davanti a questa immagine, il religioso vide la fi gura della Vergine animarsi e chinare il capo, lasciando una promessa: «Esaudirò le preghiere di coloro che mi onoreranno devotamente in questa immagine, e cercheranno rifugio in me, specialmente le preghiere per il conforto e la liberazione delle povere anime del purgatorio».

In seguito l’immagine fu esposta alla venerazione nella cappella della Confraternita dello Scapolare, a santa Maria della Scala, a Roma. Dopo la morte del religioso (1630), l’opera fu portata a Monaco di Baviera (1631), da lì poi a Vienna, alla corte dell’imperatore Ferdinando II che la ricevette in dono dai Carmelitani scalzi, in segno di riconoscenza per l’impegno profuso per la fondazione del convento di Vienna-Leopoldstadt. Dopo la morte dell’imperatore, nel 1637, l’imperatrice Eleonora, ritiratasi nel monastero delle Carmelitane scalze della capitale asburgica, da lei fondato, portò con sé l’immagine. Alla sua morte, avvenuta nel 1655, per disposizione testamentaria, l’immagine fu donata ai Carmelitani scalzi di Leopoldstadt, che dal 1901 la custodiscono nella nuova chiesa di Vienna-Doebling.