Abbiamo incontrato il Signore”

Per un credente, parlare di una visita, di un pellegrinaggio in Terra santa, la terra di Gesù, significa indubbiamente e primariamente parlare di un’esperienza spirituale, che nasce da un desiderio di rinnovamento interiore, di conversione, che è dono dello spirito, e che ha come meta un incontro con il Signore. Negli ultimi giorni di permanenza ad Haifa, credo di avere compreso questo, che lì a mia insaputa, io avevo incontrato il Signore.

Che cosa significa questo, come si configura questo incontro? Come lo vogliamo raccontare questo incontro?

Così: ho incontrato il Signore e aveva il volto, gli occhi, il carattere di P.P.

Perché associo questo incontro con il Signore alla persona di P.P: cosa significa? esagero?

Facendo un passo indietro per provare a capire direi: se la carità del fratello ha operato ciò che io considero per i motivi suesposti un “miracolo”, come ogni miracolo, esso non solo è “inspiegabile”, ma più ancora esso è “segno”, rimanda ad altro. Perché resta inspiegabile come un tale che non è tuo padre, tua madre, tuo fratello o amico, decida che il suo tempo lo dedica a te, che lui è qui per questo, per te. Ma tu, verrebbe da chiedergli, chi sei per fare questo ? da dove ti viene questo? come ci sei arrivato ad essere così? Cosa ci guadagni? e poi mi domando: perché tutto ciò mi stupisce? Da dove viene il mio stupore? Cosa c’è di stupefacente? Perché non mi basta essere grato? Proprio per questa eccedenza il miracolo richiede di cercare oltre tutto quello che non basta a spiegarlo. Anche nel vangelo davanti al miracolo la gente lodava Dio e si interrogava.

La sua eccedenza è tale da farmi pensare a qualcosa di “altro”, vogliamo chiamarlo “soprannaturale”? E penso a una sorta di travestimento: Dio si è travestito? come ad Emmaus. E per dirmi cosa, per farmi capire cosa? Per dirmi semplicemente che “dove è carità lì c’è Dio”, in persona, incarnato. La carità (fraterna) permette a Dio di manifestarsi di comunicarsi, di incontrarlo.

Vuoi incontrare il Signore? Ama con carità.

Vuoi che qualcuno incontri il Signore ? Amalo con carità. Ami con carità? Questo permette a Dio di manifestarsi, a chi ama e a chi è amato di incontrare il Signore, ed è il dono più grande.

Potremmo dire che, attraverso la carità di un fratello, ho compreso la carità come forma della presenza personale di Dio tra noi.

Che questo Dio possa avere gli occhi la voce le sembianze umane di un fratello non dovrebbe sorprenderci, è il mistero della incarnazione per il quale il Verbo di Dio “si è unito in certo modo ad ognuno di noi” (Gaudium et spes, 22), è il mistero della comunione per il quale Dio abita in noi, dimora in noi. Questo intendo dire parlando di incontro con Cristo, quando l’altro diventa come sacramento dell’incontro, segno e strumento di questo incontro, il prossimo come volto di Dio stesso che ti viene incontro, cosi l’altro diventa persona e anche tu diventi persona. E l’incontro, il rapporto, diventa personale.

Questo è il miracolo della fede, che accade nel segno della carità, è la carità che rivela, nella fede, il volto di Cristo, che lo rende riconoscibile, che te lo fa incontrare. Come ad Emmaus “en travesti” sotto mentite spoglie. Mi pare sia da leggere così il mistero dell’incarnazione. E questo è quello che mi è parso di avere vissuto e capito. Dopo tante stupore, capire che quello stesso stupore era suscitato da questo rivelarsi del mistero di Dio, era il segnale che li stava accadendo un incontro con il mistero di Dio fatto carne. Anche senza visioni e d estasi.

Nel frattempo faccio una deduzione che per me ha il sapore di una scoperta: molte volte noi siamo a noi stessi e tra di noi in comunità, come in famiglia, diventiamo un problema. Quando manca la carità accade questo, tutto è un problema, e il problema siamo noi, sono io. La vita religiosa in crisi? La famiglia in crisi? Il problema sono io! O per lo meno sono parte del problema.

Quale è la scoperta? Che noi, che siamo il problema, che viviamo l’altro come un problema, tutto come problema, la realtà come problema, possiamo anche essere la risorsa e diventiamo tali quando si riattiva il circuito della carità, dell’ amore fraterno, quando ti carichi il peso dell’altro, paghi di tasca tua come il samaritano. Quando sei fatto oggetto di carità e questo ti rimette in piedi, ti fa camminare, ti guarisce da ogni infermità.

Cosi funziona la vita evangelica, la vita in comunità, oppure non funziona proprio e rimane apparato. Ecco, questo è un miracolo che può accadere ogni giorno grazie a questo dono-mistero della carità, per cui Dio opera attraverso un fratello, facendosi fratello, rinnovando il suo mistero. Che poi questo fratello sia un confratello ha certamente un suo significato, almeno per me, che sono un religioso, che abito quel territorio di frontiera che è la vita religiosa!

Anche qui il rischio di perdita di speranza è elevato, e allora quello che sembrava senza speranza, aspetta solo di incontrare te, qualcuno capace di donare se stesso, il suo tempo, le sue energie, e ognuno di noi è un potenziale messaggero della salvezza. Troppo spesso aspettiamo un messia che “dall’alto” venga a liberarci, “la salvezza viene da Dio” indubbiamente, ma dovremmo anche dire “viene da noi”, noi abbiamo quella risorsa di vita dentro di noi, per il dono dello spirito, noi stessi siamo fatti e dati a noi stessi come risorsa, per la nostra stessa umanità, che è il canale attraverso cui Dio opera e salva.

Vorrei che questo fosse espresso in modo più chiaro e convincente, perché mi pare che aiuterebbe a sbloccare molti meccanismi inceppati. Il discorso non è nuovo, e volutamente lo riassumo con quel verso “dov’è carità e amore qui c’è Dio”. È qualcosa che tutti conosciamo. Ma averlo toccato con mano ha acceso come una luce nuova. Di speranza per quanto riguarda i luoghi, le comunità familiari, ecclesiali che abitiamo e in cui le dinamiche della fede sembrano per lo meno appannate e quei luoghi destinati a dissolversi.

Forse dovrò chiarirlo meglio a me stesso, ma resta la convinzione che questa scoperta rappresenti una sorta di rivoluzione copernicana. Uno di quei “colpi di genio evangelici” per cui le pietre di scarto diventano testate d’angolo. Pietre su cui l’antico edificio che cade in rovina viene riedificato, rifondato.

Credo, spero, possa valere come interpretazione di un passo celebre di Teresa, che rileggevo proprio ad Haifa, sulla responsabilità che ciascuno ha di essere di fondamento per quelli che vengono dopo di lui, senza cullarsi sugli allori del passato e sul prestigio dei fondatori. (Fondazioni 4,6).

Questo, come Teresa spiega bene nel Cammino di Perfezione, esige e si configura come esercizio di carità fraterna.

Una scoperta nel segno della speranza, poi la fede e la carità faranno il resto.